Betty love

Betty non è una donna qualunque. Possiede il fascino ingenuo e onirico di una diva degli anni Quaranta e insieme la grinta e la voglia di rivalsa di una donna moderna.

Betty Love non è un film che si possa giudicare come gli altri, e Betty non è un personaggio comune. 

Bisogna fare uno sforzo ed entrare nel mondo un po’ pulp e surreale del regista Neil LaBute che, come negli altri suoi film, è un mondo parallelo, al punto tale che qui il regista fa addirittura un film parallelo, ripensando ai suoi precedenti, meno noir, meno pulp, ma comunque “suo” e riconoscibilissimo nel carattere, fin dalle prime scene. Non un passo indietro o un disconoscimento del passato, dunque, ma un addolcirsi che, non ci tragga in inganno, è solo funzionale alla storia, così come quell’aprirsi verso i larghi spazi, così insolito rispetto alla sua precedente filmografia. Causa di questa apertura sono anche, sicuramente, gli sceneggiatori di Betty Love: Jhon C. Richards e James Flamberg (che hanno avuto anche numerosi riconoscimenti).

Per questo film viene scomodato persino Tarantino. Fatto sta che a noi è piaciuto per la sua fresca scorrevolezza, per la genialità delle trovate, nonostante i rimandi più che chiari al Truman Show e a Ed TV. Sì, perché il personaggio di Betty Sizemore funziona eccome, e ci serve da “testa d’ariete” per comprendere una commedia che non sempre, e volutamente, si fa afferrare.

Betty – una quanto mai deliziosa e azzeccata Renée Zellwegger (vince il Golden Globe come migliore attrice) – ci serve a capire il film, a immedesimarci, sorridere, perfino sognare e palpitare con lei. La protagonista è una cameriera di provincia che sogna il grande amore guardando la sua telenovela preferita, un medical drama, ma nella realtà è sposata ad un uomo rude che non la apprezza, la tratta come una serva e la tradisce pure. La fuga dalla cruda realtà messa in atto da Betty, laddove non le importa neanche cosa “ma le basterebbe avere qualcosa”, raggiunge il suo apice grottesco quando il marito viene trucidato da due insoliti narcotrafficanti: Morgan Freeman alle prese con un’infatuazione romantica per Betty “che gli ricorda Doris Day” e il figlio “svalvolato”, Chris Rock, che sembra preso pari pari da un film di Tarantino. 

Per sfuggire ad una realtà troppo sanguinosa e violenta per quello che è il suo mite carattere, Betty si lascia scivolare nella dimensione della sua serie TV preferita, finisce perfino per farsi assumere come infermiera in un ospedale, prima, e nel cast della sua telenovela del cuore, poi, del tutto convinta che il personaggio del “Dottor David” sia reale. Il fatto che il suo amato dottore venga chiamato invece George e operi in un ben strano ospedale – che assomiglia più ad un set che a una clinica – inizialmente non la insospettisce minimamente. Anzi, finirà per intrecciare una quanto mai improbabile relazione amorosa proprio col dottor David che, colto alla sprovvista e convinto (ma davvero convinto?), che lei stia recitando, si lascia andare.

Il finale, con l’inevitabile presa di coscienza, non delude e lascia con altri punti in sospeso, altre domande, non ultima quella che riguarda l’intromissione della televisione nelle nostre vite di tutti giorni e l’ingiustizia che compiamo, senza rendercene conto, quando ci lasciamo scivolare per troppo tempo fuori dalla nostra realtà per ricoprire ruoli non nostri ma precostituiti dalla società.

Detto questo, alleggerirei i toni, perché il film davvero è godibile e si lascia guardare con piacere anche al dì là della manifesta critica alla società statunitense. L’abbiamo aspettato due anni, in Italia, rispetto agli altri paesi dove è uscito subito nel 2000 (n.b. prima quindi del “trionfale” Bridget Jones, ma questo è un altro discorso che faremo più avanti…), ma ne è valsa la pena. Lo dicono in molti, lo dico anch’io. Vi farà trascorrere una serata insolita e intelligente, e si finisce pure per ridere, sorridere e forse perfino sognare. 

E scusate se è poco.

E voi? Avete visto questo film? Vi è piaciuto?

Fateci sapere cosa ne pensate, baci da Greta

Lascia un commento