Cara Sara, che meraviglia è, il tuo libro! Che meraviglia percorrere con Selly, la protagonista, il “percorso che porta alla felicità”, come anticipi nell’incipit di Tu che ne sai?, edito dal Gruppo Albatros nel 2019.
Ci siamo conosciute in modo del tutto casuale, tramite amici di amici, in un’unica breve telefonata. Mi hai detto che scrivi. Ti ho chiesto di leggere il tuo romanzo così, di getto, sentendo fortissima l’esigenza di conoscerti, senza motivo ma sicura che io, il tuo libro, l’avrei amato parola dopo parola, come infatti è stato. E non ho amato solo il tuo libro, ma anche e soprattutto la tua Selly, per questo ora scriverò direttamente a lei, perché in qualche modo, lei, mentre leggevo mi ha parlato.
Ti ho amata, cara Selly, forse perché ti togli l’armatura fin dalla prima riga per mostrarti così come sei. E so che non è facile. Non è facile parlare di sé, ma ancora meno è facile raccontarsi quando il percorso è stato ad ostacoli, belli grandi e duri come macigni. Ripetute violenze subite fin da bambina, sofferte e negate sempre, ma sempre presenti e pronte a distruggerti la vita. Un intervento, all’improvviso, che ti lascia una cicatrice indelebile, poi l’anoressia e la bulimia seguite, subito dopo, da una depressione oscura e profondissima che all’inizio non sai neppure nominare. Sai solo che vuoi startene in un angolo, nascosta in fondo a un letto, invisibile, coperta dal buio. La paura che ti attanaglia con un morso alla gola, che non ti lascia mai. E mani che tremano di fronte a ogni sfida, anche la più piccola, come guidare per un breve tratto di strada. E poi amori sempre sbagliati, uomini che ti usano, ti sfruttano perché hanno capito che la tua sensibilità rifiutata si sta trasformando in fragilità, e vedono la falla per infilarsi e succhiare sempre un po’ di più la tua energia vitale.
In mezzo, un figlio amatissimo che con coraggio e quasi da sola hai messo al mondo, lottando con lui, prematuro, che ti aspetta in rianimazione. Crollando dal sonno e dalla fatica per proteggerlo dalla sua stessa delicatezza che col tempo diventa una forza grandissima per lui e per te, un motivo da cui ripartire. Tu che hai dedicato la tua vita alla cura degli altri, ti ritrovi sola nella battaglia più difficile, diventare madre di un bimbo che ha bisogno di tutto, ma soprattutto di te. Tu che pensi di non farcela, che poco a poco fuggi da te stessa e dai tuoi stessi pensieri che diventano sempre più una tempesta minacciosa, all’improvviso una bomba d’acqua che si schianta nel tuo percorso e lo travolge. All’inizio non accetti. Complice uno psichiatra incompetente – divertente e azzeccata la scelta di chiamarlo il “dottor Boh”, perché il suo nome “è meglio dimenticarlo” – pensi di potercela fare da sola. Poi, poco alla volta, tutto si sgretola, certezza dopo certezza. Vengono a mancare i tuoi amati nonni. Quella nonna che ti ha fatto da madre, prima, e poi lui, il nonno, che ha aspettato il compleanno di tuo figlio per poi spegnersi poco a poco, ma “a pancia piena”, subito dopo mangiato, come nel suo stile pratico e semplice che hai amato tanto. Altri lutti che arrivano a destabilizzarti, improvvisi e atroci. E ti ritrovi sola a combattere con i mostri che, lasciati liberi di correre, diventano sempre più grandi.
Finché un giorno, dopo mesi, anni, di psicoterapia, medicinali e un incontro particolarmente fortunato con una donna che ti cambia la vita, capisci. Capisci che devi imparare a perdonare te stessa. E ripartire da lì. Da un amore grande con cui devi coccolare la bambina che è in te. Una bambina che nel frattempo è diventata una donna meravigliosa, senza che te ne accorgessi. Una bambina che è pronta finalmente ad amare fino in fondo. Se stessa, innanzitutto, che altrimenti è impossibile costruire rapporti sani, e un uomo buono e pulito, con cui condividi tanto: sensibilità, ricordi, abbracci, ma anche risate, allegria, bisogno di libertà.
Ed ecco che diventa chiaro che il tuo libro non è tanto o non è solo uno sfogo, una valanga di sofferenza che hai imparato ad arginare e cambiare di segno, ma soprattutto una luce di speranza. Per tutti quelli che, in un modo o nell’altro, per la tua strada ci sono passati. E hanno pensato o ancora credono che sia impossibile uscirne, dal baratro. A tutti noi tu porgi la mano e ci inviti a credere fortemente che la vita potrebbe essere di più e meglio di così. Che ogni istante può diventare magico, e che la gioia può tornare, forte e potentissima, basta accettarsi, davvero, per come si è. E rifare la conoscenza con noi stessi. Con amore.
Grazie per la tua testimonianza e per il tuo ultimo, efficace, consiglio, con cui decidi di chiudere questo libro (l’ho già detto che è meraviglioso?): “tu che ne sai?” Bisogna imparare a rispondere a tutti quelli che non credono perché la depressione non si può “asportare chirurgicamente”, perché in fondo è più facile credere solo in ciò che si vede, o forse, ancora, è più facile fuggire di fronte alla paura degli altri. Che poi, a volte, è quella di tutti noi, solo che non abbiamo il coraggio di ammetterlo. Che vivere fino in fondo, guardando in faccia la propria anima, è complicato. E quindi meglio far finta di niente, proteggersi nel tepore di una vita magari piatta ma sicura, dietro a poche, incrollabili certezze. Come quella che, in fondo, “la depressione non esiste”. Basterebbe sapersi scuotere un po’.
Grazie, grazie perché non è mai facile mettere a nudo la propria anima, ma tu l’hai fatto soprattutto per gli altri. Perché se anche una sola persona, leggendo il tuo libro, si sente meno sola e decide di non lasciarsi andare, allora il tuo scopo è raggiunto.
Sospetto che le persone che saprai aiutare col tuo libro, ma anche col tuo semplice esempio forte e coraggioso, saranno molte. Così come quelle che, in modo del tutto liberatorio, la prossima volta che si sentiranno aggredire per il loro malessere senza faccia, sapranno finalmente lasciarsi andare ad un grido che, già di per sé, può essere un grande aiuto: tu che ne sai?
Grazie Selly, grazie Sara,
un abbraccio, Greta