Cambiare l’acqua ai fiori

In molti, ho letto, scrivono: “O lo ami, o lo odi”, io la penso diversamente su Cambiare l’acqua ai fiori, il celebre romanzo di Valérie Perrin di cui voglio scrivere oggi.

Iniziamo con le informazioni generali: il libro è uscito nel 2018, seconda pubblicazione della Perrin che, oltre ad essere scrittrice, è anche fotografa e sceneggiatrice. Ha vinto molti premi, tra cui il Prix Maison de la Presse. In Italia è diventato un “caso editoriale”, rimanendo per oltre un anno primo in classifica tra i libri più letti, e vendendo più di 180.000 copie (tra il 2018 e il 2019). Ancora oggi è uno dei più venduti, e se ne sente parlare in lungo e in largo: in tantissimi lo adorano e lo indicano come uno dei libri più belli mai letti, ma in molti non l’hanno apprezzato, e non ne possono più di vederlo citato ovunque (chiedo venia a questi ultimi 😉).

La trama in breve: la protagonista è Violette, che ci fa conoscere poco per volta la sua non facile vita, danzando tra presente e passato, e raccontandoci via via tutti i personaggi che l’hanno accompagnata. Orfana e cresciuta tra una casa famiglia e l’altra, pensa di aver trovato l’amore in Philppe Toussaint, con cui avrà una figlia, Leónine. Trascorre la vita prima come sorvegliante di un passaggio a livello, e poi come custode di un cimitero, ma durante questi anni, già di per se non proprio sereni a causa del pessimo comportamento del marito, donnaiolo, tirchio e fannullone, Violette deve fare i conti con una tragedia che rischia di spezzarla per sempre. Soltanto quando resta da sola, a vivere all’interno del cimitero, trova una sorta di equilibrio, e una bizzarra famiglia acquisita di cui prendersi cura, composta da Nono, Elvis e Gaston, i tre becchìni, da padre Cédric, e dai fratelli Lucchini, proprietari dell’impresa funebre del paese.

A scombinare la sua esistenza pacata però arriva Julien Seul, un affascinante commissario di polizia venuto a portare l’urna con le ceneri della madre, che nelle ultime volontà ha richiesto di essere lasciata sulla tomba di un uomo che non è suo marito, e di cui il figlio ignorava l’esistenza.

Tra misteri da svelare, e situazioni in divenire, si dipana una storia molto articolata, sicuramente ben scritta, ma a mio avviso non sempre convincente.

Per me questo romanzo non è né bianco né nero, né stupendo né una delusione, lo definirei come una scala di colori, che fa provare emozioni molto diverse a seconda del momento. All’inizio, per esempio, lo trovavo noioso, non capivo dove volesse andare a parare l’autrice; in certi punti, almeno per il primo terzo del libro, sembra un romanzo rosa, in altri è molto cupo. Confesso di aver pensato più volte di non continuare la lettura.

Poi, ad un certo punto, cambia tutto! La storia si apre, e si vede chiaramente la strada indicata dalla Perrin. Si piange, ve l’assicuro, e si soffre con Violette. Ma poi, come la protagonista, si torna a sorridere, sebbene sempre con una patina di malinconia che non lascia più il lettore.

A Violette ci si affezione da subito, e più si va avanti, più il personaggio assume un sapore “familiare”. È una donna con un passato doloroso, fragile e ingenua, generosa e protettiva.

Oltre a lei, ho adorato il personaggio del becchino “Nono”, divertente e premuroso, e di Sasha, il precedente custode del cimitero, un uomo anziano che per Violette è la spalla su cui appoggiarsi nel momento peggiore della sua vita.

Invece avrei fatto volentieri a meno della lunghissima descrizione della relazione tra Irène (la madre di Julien) e Gabriel (l’uomo misterioso), che in definitiva poco c’entra con la trama vera e propria, e che poteva essere resa sicuramente meno pesante e più coinvolgente.

Altra scelta che non ho capito, né apprezzato, sono alcuni brevi capitoli in cui l’autrice riporta spezzoni di conversazioni tra i becchini; frasi sconnesse che forse dovevano risultare divertenti, ma che a me hanno creato solo confusione.

Una cosa che mi è piaciuta tanto sono invece i titoli dei capitoli, che sono veri e propri aforismi, frasi profonde, a volte molto tristi, altre perfettamente centrate con ciò che si andrà a leggere, sono un tocco delicato e personale che arricchisce il romanzo.

Posso dire senza ombra di dubbio che Cambiare l’acqua ai fiori sa stupire. Potrei paragonarlo alle montagne russe: prima c’è una lunga salita, lenta lenta, e poi arriva la scossa, l’adrenalina schizza e non si vorrebbe più scendere.

La cosa buffa è che a furia di leggere nomi di persone, strade e città francesi, mi è venuta una voglia irrefrenabile di studiare questa lingua, e grazie all’app Duolingo mi sto divertendo tanto ad impararla!

Ora passo la parola a voi: avete letto questo libro? Cosa ne pensate? Siete team top, flop o, come me, state nel mezzo?

Un caro saluto, Clara

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