Qualcosa di buono – You’re not you: Film e libro a confronto

Inizierò subito col dire che, caso strano, stranissimo e raro, il libro mi è piaciuto meno del film! La trasposizione cinematografica di Qualcosa di buono– You’re Not You, romanzo di Michelle Wildgen del 2015, è più densa, articolata, emotivamente coinvolta e coinvolgente. 

Arriva subito in medias res, come amava dire la mia prof di lettere del liceo riferendosi, in termini assolutamente positivi, a tutto quello che arriva al punto senza giri di parole. E il film al punto ci arriva. Al cuore dello spettatore, nello specifico e per l’appunto, arriva, stravolge, coinvolge, distrugge, ricostruisce, lascia tanto. Come tutti i bei film (rari) sanno fare. Al film continui a pensarci anche dopo. Il libro ti descrive i fatti con chiarezza, a volte anche troppo precipitosa, altre indugiando su particolari che francamente ti vien voglia di scorrere via. Se non avessi visto prima la trasposizione cinematografica – che ha da subito designato Qualcosa di buono come uno dei mie film preferiti – avrei detto comunque che ci troviamo in presenza di un buon libro. Ben scritto, bella storia, accurata descrizione e definizione dei personaggi. Però il film l’ho visto e quindi il paragone è d’obbligo. E non mi esimerò dal farlo. Per onestà e, anche, molto, diciamocelo, per gioco.

A proposito del film, vi rimando al LINK dell’articolo che gli ho dedicato e che è uscito poco tempo fa: Qualcosa di buono – You’re not you.

Il film mi è piaciuto più del libro – e differisce dal libro – per i seguenti motivi:

  1. Il libro è raccontato in prima persona da Rebecca, la vera protagonista della storia. Capita che così veniamo a sapere fatti salienti della vita di Kate quasi a caso. Ad esempio, quando Evan decide di andarsene di casa (pag.122). Per il lettore è un fulmine a ciel sereno. Forse troppo.
  2. (Vedi punto 1) La coppia Kate – Evan nel film attraversa un’evoluzione dalla semi-perfezione un po’ ingessata iniziale alla crepa che si apre poco a poco tra i due, diventando gradualmente una voragine. Nel libro si passa dalla perfetta complicità iniziale alla rottura improvvisa.
  3. (Vedi punto 2) Lo spettatore del film è molto più coinvolto del lettore rispetto alle scelte e all’evoluzione emotiva e pratica dei personaggi.
  4. Pag. 68: La gentilezza e l’attenzione verso il prossimo occupavano ben poco spazio nella mia vita”, ammette Rebecca. Non è lei, bensì Jill, la sua coinquilina e migliore amica fin dall’infanzia, ad aver avuto esperienze di volontariato e ad aver accudito la nonna inferma. Bec si ritrova per caso a svolgere il lavoro di “assistente” di Kate mentre cerca un lavoro estivo.
  5. Qualcosa di buonoil titolo scelto per la versione italiana di film e libro, ha più valore per il film. È quello che Bec ha sempre cercato di fare nella e della sua vita: prendendosi cura degli altri per dare un maggior senso alla sua esistenza. A testimoniarcelo esplicitamente è la madre di Bec, durante una visita alla figlia in occasione del Natale. Nel libro “qualcosa di buono” si riferisce, probabilmente, invece, ai numerosi manicaretti che Rebecca impara a cucinare grazie alle istruzioni di Kate, con un indugio sui dettagli culinari che talvolta risulta perfino un po’ fastidioso visto che Kate non può mangiare quasi nulla e viene alimentata mediante un tubicino e la miscela apposita. Che la scrittrice sia un’appassionata di cucina? Non so darmi molte altre spiegazioni… Che il senso di quello che Kate trasmette a Bec sia proprio in questo, nell’insegnarle un mestiere avendo colto che Bec, fantasiosa e vitale com’è, può diventare un’ottima cuoca? Probabile, ma non mi convince fino in fondo. Detto per inciso e per dovere di cronaca, invece, il titolo inglese, You’re Not You, è ben motivato in entrambe le versioni, cartacea e cinematografica. Via via che la voce di Kate si spegne e la SLA le porta via anche la parola, Bec si sostituirà a lei per farle da interprete ma “Non sei tu”, le ricorderà Kate in più di un’occasione, invitandola a immedesimarsi nel suo ruolo, oltre che nel suo linguaggio, quando Rebecca si esprime al posto suo. 
  1. La storia d’amore senza futuro di Rebecca con Liam, un professore sposato che non lascerebbe mai la moglie, ha molto più spazio nel libro e, francamente, anche troppo. Nel film è più funzionale alla storia: quando Evan tradisce Kate, e Kate le fa notare di essere anche lei, Bec, “l’altra donna”, Rebecca si decide finalmente a chiudere una storia che la fa soffrire e le toglie dignità.
  2. L’inizio e la fine del libro, ovvero rispettivamente fino a pagina 90 circa e gli ultimi capitoli risultano un po’ trascinati e quasi inutili, rispetto al vero cuore pulsante della storia che all’inizio tarda ad arrivare e alla fine a concludersi, lasciando poi l’amaro in bocca per la scarsa presenza di Kate. Soprattutto nelle ultime pagine, Kate si vede riflessa nell’apatia di Bec e nella sua fatica ad affrontare qualunque gesto naturale della vita senza pensare alle enormi difficoltà che l’amica ha dovuto vincere con coraggio, ma è ancora troppo poco rispetto alla forza della presenza di Kate nella parte centrale del libro, decisamente meglio riuscita. 
  3. Nel libro Kate assume altre due assistenti. L’avvicendarsi dei turni e dei dettagli tecnici risulta un po’ ripetitivo e toglie forza alla storia centrale dell’amicizia tra le due donne. 
  4. Kate, come tutti, non condanna Evan nel libro per aver abbandonato Kate per un’altra donna. Perfino i genitori di Kate trovano la cosa quasi scontata. Quando poi Bec inizia a capire che Kate aveva comunque ancora molto da dare, nonostante la sua disabilità, al marito come a lei e a tutti gli altri, è forse ormai tardi e viene ribadito con poca forza.
  5. Kate è costretta a lasciare la sua casa al marito e alla nuova compagna e ad andare a vivere con Bec o le altre assistenti in un appartamento più piccolo. È un ulteriore dettaglio molto triste, e francamente l’ho trovato di una crudeltà eccessiva oltre che poco realistico.
  6. Nel libro mancano tutti i personaggi dei nuovi amici che Kate e Bec si creano anche in piscina, durante la riabilitazione, conoscendo altri malati di SLA e altre coppie che con coraggio e serenità affrontano la malattia. È un elemento che addolcisce e alleggerisce molto il film, e nel libro se ne sente francamente la mancanza.
  7. La fine di Kate: se nel film l’avevo trovata eccessiva per la sua durezza, nel libro lo è altrettanto ma arriva quasi improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, e lascia con molte, troppe, domande irrisolte, e una grande sensazione di sgomento nel lettore. 

Detto ciò, il libro è comunque un grande e potente inno all’amicizia al femminile, tra due donne diametralmente opposte ma proprio per questo complici e curiose l’una dell’altra. Si resta con una grande pena nel cuore ma anche con la consapevolezza che l’amicizia può davvero salvare il mondo e che, talvolta, può superare qualunque confine o barriera molto più che l’amore. O, meglio, che può essere una forma di amore puro e disinteressato, pieno e appagante. E che la disabilità può non essere un limite: lo è solo nella testa di chi non sa andare oltre. E Bec, andando oltre, si nutre dell’amicizia di Kate che la cambia profondamente e le regala una nuova vita e una nuova consapevolezza di sé. E la possibilità di scoprire la strada per essere felice. E scusate se è poco. 

Consiglio la lettura del libro prima della visione del film. Questa secondo me è la giusta sequenza per apprezzare il romanzo, – comunque notevole, – e poi gustare fino in fondo le sensazioni amplificate e la maggiore dolcezza regalate dal film.

E voi? Avete letto questo libro? Cosa ne pensate, paragonandolo al film, se l’avete visto?

Un abbraccio, Greta    

Curiosità: il libro è scritto con una spaziatura dopo ogni paragrafo. Una scelta insolita che non mi so motivare e che spezza un po’ il ritmo della lettura.

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