Fame, storia del mio corpo, edito da Einaudi Stile Libero Big nel 2017, è un coraggioso romanzo-confessione di Roxane Gay, 43 anni, afroamericana, intellettuale, attivista e scrittrice di enorme successo negli Usa.
Non si pone come un esempio o un modello di percorso da imitare, ma come semplice, preziosa testimone del mondo di chi vive intrappolato in un corpo troppo grande.
È un libro che fa riflettere, molto. E che a suo modo può fare bene a chi lo legge. Aiuta a capire alcuni meccanismi perversi e autolesivi della psiche umana, anche se a volte è nudo e crudo come un pugno nello stomaco. Ma è essenziale che sia così, perché porta a riflettere sui cliché della società, che può essere anche molto crudele nella sua indifferenza, e sulle scelte sbagliate che si possono compiere ogni giorno, in modo del tutto involontario.
D’altra parte, per dirla con le parole di “The Guardian”: “Nello spazio di una pagina, Gay sa passare dalla leggerezza alla satira sociale, intessendo la propria vicenda di un’ironia straziante.”
Tra me e questo romanzo c’è stato un incontro con amore a prima vista. Ero a Fiera di Primiero con mio marito, per una breve vacanza, e l’ho accompagnato ad esplorare la storica biblioteca che, appena restaurata, merita davvero una visita se ci si trova a passare: ampia, luminosa, tutta in legno e con un’ottima, gustosa, selezione di volumi, anche molto insoliti, preziosi e-o recenti. Avevo promesso che, essendo partita già carica di libri – circa sette per sette giorni perché, come diciamo sempre noi donne anche rispetto al guardaroba: ”Non si sa mai”!– non ne avrei presi altri. “Vengo solo per consultare quelli storici su Fiera.” Ho detto. Ma poi Fame, con la sua copertina essenziale ma accattivante, mi ha chiamata mentre stavo uscendo, dallo scaffale vicino alla porta. Sono tornata indietro e l’ho preso in prestito d’impulso, anche se, col senno di poi, non è esattamente una lettura di quelle che consiglierei durante una vacanza spensierata o romantica.
Tant’è, ormai l’avevo in mano e non vedevo l’ora di leggerlo… E non me ne sono pentita.
“Ognuno ha la sua storia… Io affronto la mia come una storia del mio corpo e della mia fame, dei 40 anni che sono serviti per amarsi un po’ di più”, riassume la scrittrice con efficace dote di sintesi. Il romanzo, in realtà, si sviluppa in sei parti, chiare e schematiche, girando intorno ai temi principali che vengono svelati e dipanati sempre di più, a volte ripetuti in modo ossessivo per creare un contatto e accertarsi che siano arrivati fino al cuore e allo stomaco del pubblico di lettori.
Le ultime due parti sono le più esplicite, attiviste e femministe, volutamente amare, ma paradossalmente mi sono sembrate anche le meno indispensabili perché molto, se non tutto, era già stato detto nelle prime quattro, e mi pareva che i concetti fossero già arrivati e in fase di digestione… D’altro canto, pare proprio che a lei non interessi la letteratura di per sé: il suo scopo è quello di veicolare un messaggio, perché questo è un libro di denuncia, è come se dovesse portare a termine una missione. Roxane usa la sua popolarità, la sua cultura, la sua capacità di analizzare e di sapersi far ascoltare per metterle al servizio della società, dei temi che vuole veicolare e di tutti coloro che soffrono intrappolati nel loro corpo. Il suo stile asciutto non cerca il sensazionalismo: si basa sulla semplicità e sulla ripetizione dei concetti. Ripetendo e semplificando si assicura che di far arrivare dei contenuti così difficili e indigesti nella realtà.
Il messaggio è veicolato sostanzialmente da quattro temi principali:
1. La VERGOGNA di occupare troppo posto nel mondo.La patologia di per sé non è solo l’obesità. Spesso l’obesità è la punta dell’iceberg di una malattia chiamata vergogna di sé, senso di inadeguatezza, che l’obeso risolve paradossalmente mangiando perché il cibo è l’unica cosa che gli dà tregua e soddisfazione. Da qui apre il doloroso capitolo della bulimia di cui spesso soffrono quelli che mangiano in modo compulsivo per “depurarsi ed espiare”, e di conseguenza quello del bruciore di stomaco cronico, dei danni irreversibili prodotti al corpo, ai denti, ai capelli, dalla pratica del vomito autoindotto. Rivolge una dura denuncia nei confronti di tutti coloro, medici inclusi, che vedono nell’obesità una colpevolezza e una pigrizia fini a se stesse, sottovalutando il dolore fisico e mentale, il dramma del disordine alimentare e dell’incapacità della persona di amarsi e prendersi cura di sé.
2. Da qui parte anche la DENUNCIA DI TUTTI COLORO CHE SPECULANO SULL’OBESITÀ, ad esempio con la spettacolarizzazione delle trasmissioni televisive (Vite al limite, giusto per citarne una), o proponendo diete dannose e poco efficaci al solo scopo di guadagnare, senza curarsi della sofferenza altrui.
3. IL CIBO, QUANDO DIVENTA UN VIZIO, COME IL FUMO, È UN TAPPO PER IL DOLORE.Roxane sostiene che sia inutile dire alle persone obese che si stanno facendo del male, perché spesso il problema è che queste persone non si amano abbastanza, e quindi è assurdo chiedere loro di prendersi cura di un corpo che odiano e vorrebbero annientare. L’unica strada è aiutarle a stare meglio in quel luogo dell’anima in cui tutto nasce e si dipana. Non dà soluzioni semplici, ma indica una via, una strada verso la guarigione. O almeno ci prova, con umiltà e coraggio.
4. L’OBESITÀ È UN MEZZO PER NASCONDERSI, PER COSTRUIRSI UNA FORTEZZA TRAMITE UN CORPO TROPPO GRANDE.Da qui, il racconto straziante della violenza di cui è stata oggetto quand’era adolescente, quasi bambina, e di tutte le storie sbagliate che sono seguite. Non amando se stessa si sentiva già sollevata se “non veniva picchiata”. Questo era il massimo che chiedeva ad una storia… di non essere trattata “troppo male”. Questo dimostra quanto profondo fosse il suo disagio, la vergogna, la paura, la voglia di nascondersi dal mondo. Tramite un lungo percorso, Roxane è riuscita a capire che lo stupro di gruppo del quale è stata oggetto, ordito da un ragazzo che credeva di amare, tra l’altro, l’ha segnata per tutta la vita. È solo risolvendo quel trauma che riuscirà a guarire e forse a permettere al suo corpo di riprendere delle dimensioni più comuni.
Poco alla volta, Roxane ci apre il suo cuore, ci racconta della sua fatica, degli insulti razzisti, in tutti i sensi, che ha dovuto subire e che subisce ancora oggi che, essendo famosa, le sue foto vengono pubblicate raccogliendo commenti cattivi.
Ma lascio la parola a lei che di sicuro è più brava di me a comunicare i suoi intenti e il suo sentire. E a spiegare che se la verità fa male si possono pure girare le spalle, ma questo non cambia la realtà. Il dolore di per sé può metter in imbarazzo. Da qui la solitudine, spesso, di chi soffre. Il suo è un invito, timido e gentile, ma deciso, a tendere la mano e a guardare in faccia la realtà. Anche quando è cruda e indigesta. Perché non esiste un’altra strada per arrivare alla verità. E solo nella relazione l’uomo può trovare salvezza e rinascita.
Scrivere questo libro è la cosa più difficile che io abbia mai fatto. Mostrarmi così vulnerabile non è stato facile (…) ma l’ho fatto perché lo sentivo necessario. (…) Se questa verità è una storia che non desiderate sentire, lo capisco. La verità mette a disagio anche me. Ma sto anche dicendo: ecco il mio cuore, quello che ne resta. Ecco la ferocia della mia fame, ve la mostro. Eccomi qua mentre finalmente mi concedo la libertà di essere vulnerabile e umanissima. Eccomi che godo di quella libertà. Eccomi. Guardate di cosa ho fame e cosa mi ha consentito di creare la mia verità.”
Verità intesa soprattutto come coraggio e, finalmente, libertà di dire e forse di fare ciò che desidera.
A voi i commenti…
Un abbraccio,
Greta