Di seguito vi riproponiamo l’articolo che Greta ha scritto di getto dopo aver visto la prima puntata della prima serie ed esserne rimasta entusiasta.!
Inizio dicendo subito che quello che ho visto mi è piaciuto, parecchio. La serie TV L’Amica Geniale è fedelissima al primo romanzo della tetralogia di Elena Ferrante da cui è tratta. Pure forse troppo, perfino: ogni scena, ogni dettaglio, ogni particolare viene reso con attenzione filologica e dedizione cieca alla parola scritta. Va da sé che, di conseguenza, la realizzazione in video risulti perciò un po’ lenta, rispetto alla pagina letteraria, e ben più forte.
Mi spiego: un conto è leggere che Lila viene picchiata dal padre e “la mia amica volò dalla finestra, passò sopra la mia testa e atterrò sull’asfalto alle mie spalle. (…) Ferdinando l’aveva lanciata come una cosa”. Un altro conto è vederla, questa scena fortissima: il corpicino esile di Lila scaraventato attraverso la finestra dallo “scarparo”, fuori di sé dalla rabbia, e schiantato al suolo con un rumore di ossa rotte terrificante. Vederlo e sentirlo, ripeto, è molto peggio, è molto più d’impatto, verrebbe quasi da chiudere gli occhi per non guardare, quella come altre scene cruente e durissime nella loro violenza espressiva seppure artistica. Perché di neorealismo si tratta, e Saverio Costanzo, il regista, ce ne dà prova chiara ed esplicita nella citazione didascalica di Rossellini proprio nel climax della tragedia: Alfredo il falegname viene accusato di aver ucciso Don Achille. La polizia viene a prenderselo senza tante cerimonie, lo ammanetta e lo carica sul suo camion. La moglie, fuori di sé, rincorre il camion in movimento urlando il nome del marito finché ha fiato e infine cade per terra con un tonfo. Tutte le donne accorrono attorno a lei per soccorrerla. È identica, quasi, alla scena più famosa di Roma città aperta quando Anna Magnani corre dietro al camion dei tedeschi che si porta via per sempre il marito. Solo che lì la donna cade perché viene fermata dalle fucilate dei soldati, qui la moglie del falegname soccombe per la disperazione e si lascia cadere malamente, sfinita. È stato detto da certa critica (ad esempio da Stefania Carini per Il Foglio) che la “citazione dotta” ha tolto pathos a quella che doveva essere la scena più drammatica e forte di questa prima serata. Io trovo invece che, comunque, dopo tanta violenza sbattuta sullo schermo e francamente a volte dura da digerire, una scena dopo l’altra, senza il filtro comunque raffinato della Ferrante e della sua parola scritta sempre dentro le righe, Costanzo abbia voluto alleggerire strizzando l’occhio allo spettatore, ricordandogli che siamo in presenza di un film, per quanto realistico e crudo, e contemporaneamente rendere omaggio al suo grande maestro Roberto Rossellini. Il regista, d’altro canto, ha da subito dichiarato che il suo è un ritorno al neo-realismo, voluto fortemente fin dalla scelta di quei personaggi principali che non sono attori professionisti. Elisa Del Genio e Ludovica Nasti, le due bambine, in particolare, sono davvero straordinarie, e mai si direbbe che sono alla loro prima esperienza sullo schermo, eppure risultano talmente vere ed espressive che davvero “non diresti che stanno recitando”, come si auspicava il regista. In più, a differenza di quello che spesso succede quando si vede una serie televisiva o un film, nel confronto con le Elena e Lila letterarie le piccole attrici non ci perdono. Anzi, verrebbe francamente da dire che sono molto vicine a come ce le si immaginava. Almeno, questo è quello che ho pensato io fin dalle prime scene.
Una resa felice e fedelissima – nel senso del rispetto del romanzo e del contenuto artistico -, dunque, anche grazie a quel dialetto strettissimo ma sottotitolato in cui si esprimono per lo più i personaggi del rione. La Ferrante cita spesso, infatti, il dialetto, per rendere la parlata dei suoi personaggi, avvicinato non raramente alle parole “volgarissimo” o “sboccato”. Certo che poi però lei scrive in italiano purissimo, e per questo le pagine scritte hanno un effetto del tutto diverso e meno forte. Nell’era della globalizzazione, la scelta del dialetto napoletano antico per una serie TV è davvero coraggiosa e perfino moderna, a suo modo, ma efficace. Il testo parlato è in tal modo sicuramente più faticoso da seguire, ma trovo che in ultima istanza sia stato corretto aver rispettato la lingua in cui si esprimevano nella realtà gli abitanti dei quartieri popolari napoletani negli anni ’50.
I colori sono fondamentali per la resa filmica, o per meglio dire i non colori, che i toni cupi sulle sfumature del grigio e del marrone, scelti per queste prime due puntate, ricordano il bianco e nero del cinema di quegli anni, oltre a concorrere alla resa drammatica della violenza, della miseria, della sporcizia, dell’ignoranza e del clima omertoso che connotano il rione e i suoi abitanti.
Questo intende, credo, la critica, quando dice che il colore verrà inserito solo dalla terza puntata. Andando avanti diventeranno protagoniste anche le schermaglie amorose e perfino i vestiti e le scarpe di Elena e Lila, il matrimonio e i suoi preparativi, per cui probabilmente cambierà il clima, si addolcirà un pochino e si avvicinerà anche cronologicamente e quindi visivamente più a noi. Le due protagoniste impareranno l’italiano, da un certo punto in poi. Elena, che frequenterà le medie e poi il liceo classico, si esprimerà solo in una lingua chiara e pulita a sottolineare la distanza tra lei e i suoi amici che possono continuare gli studi e gli altri abitanti del quartiere.
La scuola, così come nel libro ma in modo ancora più evidente ed efficace, viene rappresentata per quello che era in quegli anni Cinquanta con tutte le sue incongruenze didattiche e pedagogiche (gli studenti meno bravi umiliati e picchiati, la separazione netta tra maschi e femmine, ecc.). Va da sé che la figura della maestra Oliviero sia particolarmente di spicco col suo lottare strenuamente affinchè le due bambine non abbandonino gli studi dopo le elementari e il suo femminismo ante litteram che anticipa quello che sarà esplicitamente uno dei temi fondamentali di tutti e quattro i romanzi.
Devo aggiungere, ancora, che la fotografia come la regia è magistrale, e che tra tutti gli attori davvero bravissimi mi ha colpita soprattutto la piccola Lila. Letta la sua storia, poi, ho capito ancora meglio da dove le viene la grande forza che sprigiona nonostante il suo corpicino esile e quasi indifeso e gli occhi stretti e sempre un po’ pesti. Ludovica Nasti ha lottato per cinque anni contro una tremenda malattia, chemioterapie ed effetti collaterali inclusi. Quando è stata scelta per la parte, dopo sei mesi di provini e tra novemila altre bambine, era incerta se accettarla perché avrebbe dovuto tagliarsi nuovamente i capelli che aveva fatto così tanta fatica per riavere lunghi. “Ha deciso da sola”, ci racconta la sua mamma: dopo averci pensato a lungo, Ludovica ha decretato che recitare quella parte per lei era più importante di tutto e si è lasciata tagliare i capelli. E questo si percepisce, emerge fortemente dallo schermo: la Nasti sprigiona una forza ammaliatrice fin dalla prima scena, ipnotica, quasi. Proprio come la Lila letteraria. Che poi Lila dovrebbe chiamarsi solo per Elena, e per tutti gli altri Lina. Penso che il regista l’abbia resa Lila per tutti quanti per non creare ulteriori confusioni nella babele di personaggi secondari e comprimari da ricordare e seguire nelle alterne vicende. Questo penso e, ancora, che non vedo l’ora di vedere le prossime puntate. Sperando che il clima generale si addolcisca e che emerga anche l’aspetto più caloroso, generoso e umano degli abitanti del rione, che nel romanzo non manca e che non dovrebbe mancare neanche nella realizzazione televisiva, secondo il mio sentire.
Intanto aspetto i vostri commenti a caldo…
Come sempre, con affetto, Greta
Vi lascio i link per leggere gli articoli precedenti sui libri, e l’approfondimento della fiction:
Quattro volte l’amica geniale prima parte
Quattro volte l’amica geniale seconda parte
L’amica geniale – i libri, la serie